Vent'anni di Jazz: intervista con Roberto Bonati

10 dicembre 2015: ParmaJazz Frontiere festeggia i suoi dieci anni di vita. Abbiamo voluto intervistare Roberto Bonati, direttore artistico del Festival, musicista e compositore.

Vent’anni di jazz e non solo: qual è il panorama?
Mi sembra che in questi ultimi venti anni l’omologazione culturale e stilistica abbia preso sempre più il sopravvento sulle proposte più originali. Le cause sono molteplici.
Il generale appiattimento del livello artistico è dovuto a molti anni di committenza senza una visione, senza una capacità di assumersi rischi produttivi, cercando solo di relazionare il festival o il concerto a fattori esclusivamente commerciali: si calcola quanto ritorno si avrà in termini di turismo, quanto pubblico, quanto ritorno in termini di immagine.

Che cosa è cambiato nella musica dalla prima edizione a oggi?
Potrà sembrare strano ma credo che nel panorama del jazz in Italia ci siano oggi più denari di prima ma questo ha provocato anche la conseguente esigenza di avere dei “prodotti” vendibili che siano chiaramente comunicabili, aderenti a una domanda, con un intervento massiccio di uffici stampa e la creazione di personaggi-star che sono spesso anche ottimi musicisti ma che alla fine entrano in un ingranaggio che li porta a ripetere sé stessi, essere l’icona di sé stessi. Il personaggio è diventato più importante di quello che propone.

Quali sono gli effetti?
I giovani non riescono più ad avere un periodo di formazione e maturazione sufficiente e sono costretti ad essere presenti producendo dischi in gran quantità. In questo contesto è molto difficile mantenere la barra del timone di un festival ben dritta sugli aspetti di produzione e formazione che più ci interessano.
Credo che questo festival sia un caso molto particolare: venti anni di risorse economiche molto scarse, ma produzione, ricerca di rapporti tra i linguaggi artistici, collaborazioni produttive internazionali, rapporti con prestigiose accademie europee, formazione di giovani musicisti, oltre cinquecento artisti coinvolti.

Come si è evoluto il panorama internazionale?

Ho una visione parziale del panorama internazionale. Mi sembra che l’aspetto “muscolare” e di “forzata complessità” da una parte e l’omologazione dall’altra oggi prevalgano spesso nel jazz sul desiderio di comunicare e su una volontà espressiva dettata da una necessità artistica che mi pare sempre più difficile da trovare. C’è molta maestria tecnica, padronanza del linguaggio ma ben poca visione. Forse è sempre stato così ma con l’età si è probabilmente più attenti all’essenza delle cose.

Quali sono le sonorità scomparse e quali le emergenti?
E’ una domanda a cui rispondo con difficoltà. Sono molto preso da una mia ricerca e non riesco e non voglio stare dietro a tutto quello che succede. In generale il gusto per un certo “suono del jazz”, un pò ruvido, un po’ violaceo, si è perso e credo sia un elemento importante, in sé stesso, per certo repertorio o come citazione.

Qual è oggi la geografia del Jazz?
Mi pare molto distribuita, in Europa, Russia, Stati Uniti, America del Sud. Sud Africa, oriente. Questo in generale. Poi se guardiamo agli sviluppi linguistici dei diversi paesi, alcuni sono più proiettati verso una tradizione puramente americana e altri hanno fondato, per così dire, della “scuole nazionali” mettendo in relazione più tradizioni, la musica dell’occidente e dell'oriente con la musica afroamericana.

Vent’anni da artista: come sono stati sia per Roberto che per i musicisti che ha conosciuto
Per me difficile, faticoso e bello e non posso rispondere per gli altri...

Fantascienza: come sarà ParmaJazz Frontiere fra vent’anni e come sarà il jazz?
Non sono indovino ma posso dire quello che vorrei e per cui lavorerò. Penso che sia importante che le nuove generazioni si assumano responsabilità artistiche ma anche organizzative. Il momento storico è difficile. Si sta creando una specie di vuoto culturale e di coscienza storica anche rispetto alla generazione precedente. Mi accorgo che alcuni giovani nostri studenti non sanno neppure quello che alcuni di noi docenti hanno fatto o stanno facendo in campo musicale. E’ una deriva pericolosa. Forse inarrestabile e credo che sia importante tenere accesa la fiamma. Cosa facciamo come musicisti?

Vorrei che il festival fosse sempre più concentrato sulle produzioni, è la cosa più importante. Produrre è fondamentale, questa è la vera sfida.

Spero di essere ancora in circolazione fra vent’anni per verificare di persona quello che sarà successo…

Silvio Marvisi

Il video della settimana